L’affermazione in realtà sarebbe più complessa e bisognerebbe indagare su ciò che esiste prima di domandarsi cosa inizia e cosa termina ma il titolo mi piace così e ce lo lascio.
Il dato di fatto è che, come sempre, queste pagine rimangono immancabilmente bianche (fatto salvo per alcune goliardate) finché non accade un qualche terremoto nella mia vita. Probabilmente, in questi momenti, scrivo sempre le stesse cose ma evidentemente sentirò il bisogno di farlo, per cui perdonatemi.
Passiamo ai movimenti tellurici che sono semplici da sintetizzare e cioè che dopo cinque anni è finita la mia ultima relazione.
Cause? Colpe? Conseguenze?
Lascerei perdere questa analisi, specialmente delle prime due domande, che porterebbe solamente all’esternazione di punti di vista personali e non garantirebbe alcun punto di partenza a chi legge, riassumerei la terza con una sola frase, «Lei va fatta santa subito!» e mi concentrerei su come mi sento, soprattutto alla luce di un accadimento buffo di mercoledì scorso.
Iniziamo dall’immagine di copertina che è la causa di questa riflessione, è una quitapenas che mi ha regalato una mia amica mistica (e forse un po’ preveggente) una decina di giorni fa. Che cos’è vi domandate voi, ecco la risposta che si trova sul web.
Nella tradizione originale guatemalteca delle bambole, una leggenda locale sull’origine della Muñeca quitapena si riferisce ad una principessa Maya di nome Ixmucane. La principessa ricevette un dono speciale dal dio del sole che le avrebbe permesso di risolvere qualsiasi problema di cui un essere umano potesse preoccuparsi.
In tempi tradizionali e moderni, le bambole della preoccupazione sono date o prestate a bambini coccoloni e addolorati. Raccontano alla loro bambola i loro dolori, le loro paure e le loro preoccupazioni, per poi nasconderla sotto il cuscino durante la notte. Dopo questo, il bambino dormirà letteralmente su tutta la faccenda. La mattina dopo, si dice che tutti i dolori siano stati portati via dalla bambola della preoccupazione.
Non vi sembra geniale?
Mercoledì io rifletto, guardo la bambola ancora imbustata nella sua sacchetta, penso al macigno che mi porto sulla bocca dello stomaco da giorni e mi domando se possa essere utile ad uscire da questo stato di apnea e soffocamento che ormai, di giorno in giorno, monta sempre di più.
Mi preparo per andare a letto, la tiro fuori, sto per fargli il discorsetto che si aspetta e poi mi blocco gridandogli «Non ti dico nulla così non mi porti via il mio dolore!», gesto stupido? No, questo dolore, ancorché insopportabile devo tenerlo e portarlo con dignità perché deve fare il suo decorso naturale, senza curami se durerà giorni, mesi o anni. Questo dolore è l’unico elemento che può farmi crescere e che può insegnarmi ad essere una persona migliore.
Morale?
Portate pazienza che come passerà il Covid, passerà anche la mia sofferenza!