Massimiliano Padovan Di Benedetto

La mia libertà

Sono passati tre mesi dall’ultima volta che ho pestato i tasti del mio macbook per importunarvi con le mie stupidagini lasciandovi la libertà di pensare ad altro ma il tempo dell’inabilità è finito e bisogna muoversi.

Oggi non vi tedio con la direzione che non trovo ma apro una finestra proprio sulla parola libertà.Questa mattina sulle principali testate giornalistiche è apparsa la notizia della condanna di tre dirigenti di Google per un video messo in rete nel 2006 in cui alcuni adolescenti insultavano e umiliavano un ragazzo disabile, il video era stato girato e pubblicato dagli stessi aggressori.

Sulla bestialità di tale gesto è inutile che mi esprimo ma l’episodio della condanna lo definirei inquietante. Mi associo pienamente al giudizio espresso da Reporters Sans Frontières [vedi Reuters] sul pericolo che una sentenza del genere inneschi un processo di censura maggiore di quello che avviene in paesi come la Cina o l’Iran. Google è stata condannata perché, pur non avendo girato il video, pur non avendo partecipato all’ideazione dello stesso, pur non avendolo visto e pur avendolo rimosso immediatamente quando le è stato segnalato non ha esercitato un filtro preventivo per evitarne la pubblicazione.

Al di là della difficoltà pratica di fare un operazione del genere su scala mondiale (l’anno scorso mi sembra che ogni minuto venivano caricati su youtube 13 ore di video, il che significa che per visionarli preventivamente in ogni minuto delle 24 ore servirebbe una squadra di almeno 800 censori contemporaneamente all’opera dove ognuno di essi fosse a conoscenza di tutte le direttive dei governi di questo pianeta in materia di contenuti offensivi e che, naturalmente, capisca tutte le lingue del mondo!) sarebbe impossibile offrire un servizio gratuito per gli utenti perché la pubblicità non basta a pagare i costi della censura.

Ma vi rendete conto di cosa stiamo parlando? Censura! Ed è sorprendente che questa di Milano sia la prima sentenza del genere mai avvenuta al mondo, se questo è il modo di esternare l’eccellenza italiana mi si accappona la pelle.

Forse un giorno questo post e la relativa notifica su Facebook saranno vagliati da un funzionario in abito grigio … quel giorno spero almeno di avere la libertà di non esserci.