Uno degli argomenti che più illustrano il cambiamento che la nostra società sta attraversando in questi anni è ben testimoniata dall’enunciato “identità di genere“, termine conosciuto a molti ma capito da pochi.
Cercandone la definizione sul web, il risultato che si ottiene è “L’identità di genere è il senso di appartenenza di una persona ad un sesso e ad un genere con cui essa si identifica, ovvero se si percepisce nel sesso maschile o nel sesso femminile e se si percepisce nel genere maschile, nel genere femminile o in qualcosa di diverso da questi due generi (genere non-binario).“
Il primo approccio che i boomer hanno è quello (sbagliato) dell’identità sessuale ma l’identità di genere va ben oltre. Però, come testimonia la foto di copertina, è mia intenzione fermarmi all’inizio di questo approccio perché affrontare il tutto, ora sarebbe troppo.
Partiamo dal confronto che i cisgender come me hanno con eterossessuali e omossessuali. Con i primi il problema non si è mai posto e con i secondi anni di adattamento ci hanno abituato a relazionarci con rispetto e comprensione, ma il terzo gradino della scala diventa più complesso perché la bisessualità è il primo vero ostacolo da superare. La reazione immediata che hanno i cisessuali attempati e borghesi si concretizza nella formulazione della domanda di rito che è “Ti definisci così perché non sei in grado di operare una scelta e hai le idee confuse” e la puntuale risposta è sempre “Io non voglio fare una scelta del genere, sono semplicemente aperto a qualsiasi possibilità“, nel caso si tratti di dibattiti amicali la cosa finisce qui lasciando in entrambi un incomprensione che a nessuna delle due parti interessa essere sanata.
Ma quando, come sta accadendo sempre di più, questo confronto avviene tra boomers e millenials cominciano a venire alla luce seri problemi, specialmente se tra i due sussiste un rapporto genitoriale.
Già perché non si tratta solamente di capire la posizione dell’altro ma si disvela qualcosa di più grande che ci fa capire che il divario generazionale che percepivamo essere tra noi e i nostri genitori è solo una piccolissima parte di quello che ci separa dai nostri figli.
La posta in gioco è enorme ed è difficile da intuire al primo impatto perché porterà ad uno stravolgimento totale della nostra società. La prima classe che ne pagherà lo scotto sarà la borghesia, visto che la prima della triade marxista e cioè l’aristocrazia, la considererei già estinta se non come fenomeno turistico.
La borghesia, da sempre ostile a mutamenti radicali, basa la sua forza su di una formula magica “i valori”, essi vanno oltre al “Dio, Patria, Famiglia” di fascista memoria e negli anni si sono mantenuti come barra al centro per navigare nella vita ed educare i rampolli di buona famiglia.
Ebbene il “libero arbitrio”, come definito dall’intellettualismo tomistico, calza a pennello con la visione borghese ma se viene a mancare l’esercizio dell’arbitrio, con esso crolla immediatamente anche la significanza dei valori.
Morale? L’essenza della borghesia, in poco tempo, si scioglierà come neve al sole. E anche il concetto di educazione in senso lato muore perché il lascito alle nuove generazioni sarà inconsistente e tutto ciò per cui si è vissuto andrà perso.
Come rimediare difficile a dirsi, ma penso che siamo costretti a sviluppare la tanto temuta “attitudine al cambiamento”, perché questa situazione solo noi boomers la patiamo, i nostri figli non vivono il cambiamento, sono già diversi. Perché dico questa cosa, perché ciò può essere il vero lascito da creare.
I millenials fra trent’anni si troveranno nella nostra stessa situazione, se non più grande, di problematica intergenerazionale e se non avranno strumenti adeguati soccomberanno non avendo la capacità, come noi “esseri di mezzo”, di rimediare.
Per ora mi fermo ma penso che, su questo argomento, si dovrebbe creare una discussione aperta.